Artisti in Lucania

Rotonda



Salvatore Fittipaldi- Poesie

 

 

Rotonda (1949) - Vive attualmente a Genzano di Roma

Libri pubblicati:
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"LA MUSA DI BLANCHOT" - Il viaggio- : EDIZIONI DIVINAFOLLIA 2014

"Un viaggio in cui non è possibile inoltrarsi, immergersi in quella dimensione che protegge, non percepibile e che non rivela nessuna protezione, alcuna sicurezza che il viaggio abbia una destinazione, un muoversi a un passo più in là di quello che non si può afferrare, un movimento perenne dall'aspetto sacro di approssimazione all' irraggiungibile, all'irreale: un viaggio di anime in viaggio verso il punto avanzato del percorso voluto e desiderato dai viaggiatori".

(L’Autore)


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"Elogio all'inquietudine"----------------------- :EDIZIONI DIVINAFOLLIA 2015
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non resta, ex juvantibus, che l'inquietudine, l'anarchico
malessere del cuore, comme une construction mallarméenne,
toute en octaves et sons cristallins:
resta la lunga eco
che ossessiona les reveurs de Rue des Hétéronomes,
l'anarchica inquietudine mentale, all'ora di scrivere
d'amore, per il mondo che muore sulle strade:

il tempo è afluente, invertebrato,
non lascia ore e minuti al giorno che si tinge
di colori, di tensioni e torsioni, come nei quadri
in cui gli spiriti più inquieti danzano, allungano
le braccia, il collo, senza fare rumore:
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Nota: L'INQUIETO non è solamente inquieto. Vive e lavora in un "mondo" che ha bisogno della verità. Crede che (il) vivere abbia in sè il momento del vero. Essere INQUIETI non è uno stato o una condizione psichica, è soprattutto possesso del "sentimento del vero". Il rapporto tra l'INQUIETO e la vita, consiste nell'offrire la vita alla verità e trasformarla in esistenza corrente. Anche per questo l'INQUIETUDINE non può essere considerata "tedio cosmico" o "ansia frustrata" più che una sorta di "disagio spirituale".Né sembra agile la forzatura di associare questi testi ad alcuni autori di provenienza "romantica" o ad alcuni filosofi della "decadenza" .
La prefazione di Silvia Denti, ai fini della chiarificazione, è anch'essa illuminante quando scrive: "Egli stesso (l'autore) sottolinea, che "l’inquietezza prefigura l’esistenza": la capacità di raccogliere le parole giuste, assemblarle e motivarle e non so bene se con" l’essenza precede l’esistenza" (Kant) o "l'esistenza precede l'essenza" (Sartre) che entrambe sembrano ruotare attorno a tutta la poetica fittipaldiana. Ma non solo, persino quel disgusto, l’orrendo percepire degli assoli mai infrequenti, il contro tutto e tutti, politica compresa, definiscono l’uomo, la cui anima si interseca con quella altrui, per forza, ma in maniera ancora più insidiosa e sanguigna, con stille sofferte che pochi autori riescono davvero ad esprimere. Mi sovviene ancora Sartre, con la sua nausea, colui che rifugge da ogni ideologia, regola, copione. E per la modernità di matrice sanguinetiana, il Nostro non è secondo a nessuno. Conosciamo le sue letture predilette, le inclinazioni. La bella testa come un immenso contenitore in cui i pensieri lottano, ma non ne escono mai brutture, bensì intuizioni e illuminazioni che conquistano. Ma il Fittipaldi di questo libro è anche" fratello" di Sartre ,"cugino" di Blanchot,e "figlio di Sanguineti" laddove il conflitto tra il vivere e l’essere libero non cessa mai e finisce per rimanergli dentro fino alla fine del suo percorso".
In sostanza ,come un arazzo dell'inquietudine diurna dell'uomo moderno,questi testi si fanno paradigma di una umanità privata di speranza, che brancola nell'incertezza (metafisica?) di una "verità non verità", che tenta di pensare ad una speranza di salvezza.
Il libro è in ogni caso meno "autobiografico" e più "politico" rispetto a LA MUSA DI BLANCHOT...un libro che, a detta dell'autore, ha a che fare più con l' Odio di classe di Benjamin che con Pessoa.
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Hanno detto di lui:
Poeta esistenziale che riversa nella parola il racconto del quotidiano, lasciandosi travolgere dall’attraversamento dei fatti, ma soprattutto dalle emozioni dell’accadere (...)
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Nelle sue poesie si ritrovano molteplici interconnessioni con i testi Sanguinetiani sia nelle scelte di poetica che di stile, se pure in ambiti meno evidenti, in un rapporto di mutazione e filiazione, diretto verso soluzioni personali ed elaborazioni originali(...)
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... in giro c’è gente talmente umile, e d’umiltà così claustrale, da ricevere una provvidenziale assunzione al cielo poetico pur essendone totalmente ignara ed essendovi affatto ignota(...)
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Il suo modo di raccontare è soprattutto un continuo aggiustamento delle distanze, sia temporali che spaziali con le sue origini: Rotonda è la "memoria", ma in un continuo lavoro di sincronizzazione narrativa, dove non c'è un "posto" del passato e uno di oggi (...)
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ANTONELLA RUZZON ha detto: "leggerti mentre fuggi e sfuggi e ti incastri in, da, te stesso...
. la tua poesia è veramente diversa speciale..non ha nessuna pretesa di essere nè plateale nè esibita....entra direttamente nell'animo....
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IRENE FITTIPALDI ha detto: "Il linguaggio di papà ha un respiro originale con scelte sintattiche tutte, a modo loro, grandiose. Il registro passa dal drammatico all'umoristico senza mai scadere nel realismo o nella sociologia banale. Non si parla solo di cose personali, ma di vita, amore e morte, in un'ottica tragica di fine di un mondo , un misto di termini usuali e inventati di sana pianta che non disturbano minimamente, anzi, la prosaicità ha un garbo ed una musicalità che incantano. Un autore splendido e tragico, a volte ostico e quindi impossibilitato a raggiungere tutti quei lettori che meriterebbe."
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Che c'è nella sua "poesia":
C'è una intesa sottile tra " l'allusione e il non detto", tra il "non visibile, non visualizzato e il senso nascosto" che segnano il testo. Gli "oggetti" scompaiono, non sono "fruiti, fruibili", come se fossero "rifiutati" in una contrapposizione che ricorda quella verso la "società dei consumi", di sessantottina memoria. Qui siamo, invece, nella dimensione opposta: alla penuria di oggetti causata dalla crisi economica, come se lo scorrere del tempo si fosse fermato nel "centro dell'anima", nella "lentezza" che è diventato lo scorrere della "vita frenetica del profitto".
C'è anche un poco di Idiota destojeschiano, decaduto, indifeso, schiacciato da una società malata e crudele.
Poi, c'è quel qualcosa che lo unisce a Sanguineti, quello "stile di non avere stile" e che ha "trattato come un trattato di metrica".
L'entropia testuale fa risaltare il paradossale rapporto con i testi sanguinetiani: da una parte l'assoluta devozione al la forma, punteggiatura compresa, e dall'altra la "distanza" dal barbuglio lessicale del suo maestro.
In definitiva può e vuole essere intesa come una sorta di sperimentazione intorno all'afasia semantica e al vuoto lasciato dal ciclone sanguinetiano al suo passaggio.
C'è anche il senso della misura che non sconfina mai in esibizionismo, che fa urlare il proprio io evidenziandone la pienezza e la libertà anche di fronte a inutili strutture e sovrastrutture.

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MATTEO CAVALLUCCI ha detto: "Non mi pare troppo sanguinetiana. Sia chiaro: lo stile, la traccia, è quella, ormai lo sappiamo; ma questi versi mi paiono scòrrano più prosaicamente di quelli, con meno insistenze, consonanze, assonanze, pastiche - anche se, indubbiamente, i loro modi di epilogare, capitolare, chiudersi in se stessi non tradiscono quell'intenzione emulativa - alta e lata - di cui sei maestro".
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VLADIMIR D'AMORA ha detto:
Poesia "comune", schiusa sulla vita, alla vita dedita la poesia di Fittipaldi. Comunità da "comune luogo", in questi versi, dove non si può non tornare, aprendosi alla sua possibilità come a una verità che ci raccorda nella disponibilità a esso: Fittipaldi sa fare versura a un'origine inattingibile, solo evocabile; la comunità è parola in questo verso dolorosa, cui non possiamo rinunciare. Da sostenere nel mancare alla sua stessa mancanza. Perciò "il silenzio è privo di silenzio", e a nessun nichilismo s'indulge perché non solo si infittiscono "le parole del silenzio". Fittipaldi rifugge dalla facile tentazione di ritrovare, al di là della parola, la nuda realtà, la vita che esista: sa, piuttosto, il chiasma irreparabile, il desiderio, la caccia motivata solo dalla penuria, e i segni, le parole che hanno la loro, poetica vita.
Una poesia che va letta coi dovuti tempi che raccoglie segnali e mitemi, non solo moderni, lasciandoli alla loro dispersione non decantante, anzi, che insiste a tenerli come coperte necessarie alla vita, alla sua qualificabilità.
"Ecco questi versi, si rompono ogni volta in una direzione di senso dischiusa semplicemente quasi non ci si potesse, che ritrovare in un'incompiutezza della parola consegnata proprio alla sua forma, alla pretesa di significare". Poesia di una storia non più dialettica, di un luogo come comunità salvata dalla poesia, ossia da parole che sono cose e vite: la vita del segno e di ferite incancellabili, non sublimabili, nessuna rimozione estetistica. Si tratta di riconoscerla, la piccola porta aperta dal corpo del poeta che vive di tracce e di richiami, cenni d'altro, e vive anche altrimenti... Fittipaldi sa la pausa della parola che si tenga indissolubile da una vita anch'essa compiuta e bisognosa: l'altro nella reciprocità sta immanente, evocato, rispettato. I versi, "dove c'è orrore, confusione, /incertezzza:", sono solo "lasciati" da uomini-poeti convocati dalla mera, umana responsabilità di esserci, e non già identificati. Non c'è distanza, nella poesia del Nostro, se la distanza consente solo una approssimazione ad un vero prefigurato e atteso in quanto decidente definitivo. Così è per la pietosa e non dissolvente maniera di abitare sotto al modello, nell'idea che anche il figlio, il discepolo sia la sua, propria storia ("per poeticizzare (definitivamente) il podice:"). Così il sanguinetismo, in Fittipaldi, matura nella coerenza della ripresa e della eredità: in una radicalità che comporta anche la rinunzia alla prova ludica, ma non alla giocosa intensità dell'incontro e delle sue possibili parole.